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"La scomparsa": Enia con Dubois al cretto di Burri

Di Giuseppe Distefano 17/08/2024
"La scomparsa": Enia con Dubois al cretto di Burri
"La Scomparsa" di Davide Enia con Oliver Dubois

GIBELLINA C’è una particolare luce del tramonto a illuminare in controluce la vastità del Cretto di Burri. Lì dove sorgeva il paese di Gibellina, nella Valle del Belice, distrutto dal terremoto del 1968, l’artista Alberto Burri ne fece “…un immenso cretto bianco, così che resti un perenne ricordo di questo avvenimento” (sue le parole che troviamo scritte in una foto che lo ritraggono davanti alle rovine): una colata di cemento bianco che sembra stendersi come un immenso sudario a coprire le macerie, trasformando quel luogo tragico in un’opera di land art che possa rendere viva la memoria. A mantenerla ancora oggi, artisticamente, è il Festival delle Orestiadi con la direzione di Alfio Scuderi, rassegna internazionale di teatro, musica, arti visive, quest’anno dal titolo ‘La forza delle parole’: quelle di autori che ad esse hanno dato peso, valore sociale, a volte maieutico, rivoluzionario.

Tra gli artisti, in chiusura del festival, Davide Enia, attore, regista, romanziere con lo spettacolo site specific La scomparsa, titolo eloquente per raccontare, partendo dalla sparizione di Gibellina per il terremoto, anche quelle delle città di oggi bombardate dalle guerre. “Cosa comporta la sparizione di un intero paese con la somma dei suoi abitanti, dei loro ricordi, dei loro sogni?, scrive Enia. Come si reagisce alla scomparsa di una collettività? E, oggi, cosa significa sapere che altri luoghi scompaiono, divorati dalla terra che si apre o dalle bombe che cadono dal cielo? Quanto di noi scompare assieme ai luoghi che vengono cancellati?” A rappresentare lo smarrimento, la scomparsa dei luoghi fisici, dei sentimenti di pietas e misericordia, di vita collettiva e di pensiero comunitario, sono, oltre alla narrazione orale, il concorrere della musica di Serena Ganci e della danza del coreografo francese Olivier Dubois, linguaggi diversi che Enia tesse creando un dialogo tra il terremoto e i bombardamenti su Gaza che sta scomparendo sotto le bombe, raccordando storie vive di ieri e di oggi. La memoria del luogo affiora da tre figure che da molto lontano, quasi dalla cima del Cretto, sul pulsare di un suono elettronico, avanzano lentamente scendendo giù a valle fino a raggiungere la postazione piana dove l’attore inizia il suo racconto, intrecciato, inizialmente, dalle voci in sottofondo di parole, nomi, numeri, date, dette in più lingue da due performer (l’attrice Stephanie Tailleaurd e il danzatore Nicola Manzoni). Questi accompagneranno a tratti le parole di Enia - dando corpo figurativo allo struggimento di eventi dolorosi che il racconto evoca -, con una danza lieve, di prese in alto e deposizioni a terra, mentre le note del pianoforte si fanno sempre più intense e culminare sulla canzone Vieni di Giuni Russo, che Serena Ganci interpreta con lancinante trasporto. Nel loop musicale della sequenza finale con i cinque interpreti muoversi in più direzioni, sparsi, smarriti, comporsi in file diagonali e frontali, è la danza di Dubois – la cui presenza e i gesti, durante la performance, puntellano gli spazi del Cretto – a dare ulteriore forza al racconto, con una squassante fisicità di movimento eseguita di fronte alle altre figure immobili che lo guardano mute. Una danza che sembra esprimere rabbia, chiedere aiuto, urlare impotente, cercare nel vuoto, disperarsi nella desolazione, percepire l’assenza, constatare la scomparsa di ogni traccia umana. Infine, allontanarsi tutti e scomparire.

 

 

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